a cura di Samira Giorgetti
Golfo del Tigullio, che a pronunciarlo sembra uno scioglilingua, che ad arrivarci, tra strade che si infilano in bocca alla montagna e sentieri che con l’occhio buono guardano all’azzurro, ti si scioglie anche il cuore. Golfo del Tigullio, dimora silenziosa, a tratti mondana, a tratti troppo vecchia per ricordarsi che deve il nome ad una popolazione antica quanto l’aria che respiri nei carrugi fronte mare, Golfo del Tigullio che non vive solo di pesca, turismo e artigianato, ma è molto di più. I Liguri, si sa, sono gente avara. Ma la connotazione, altrimenti negativa, qui dove proprio i Tigulli hanno preso dimora cade in senso buono, perché è esattamente l’attaccamento alla terra che ha permesso, nonostante i secoli, a questi quartieri pacifici che dominano la costa, alle loro spiagge, alle borgate con un santo patrono ciascuna, di non venire inglobati nel grande ingranaggio della massiccia urbanizzazione, e tenere alto il vessillo della storia che li ha temprati. Il fenomeno, che per comodità chiameremo “quella meravigliosa icona paesaggistica tra cielo e mare che non ha età”, è connaturato ormai nello stile di vita non solo del Tigullio, ma anche di un punto specifico nel suo vasto impero sabbioso. A Lavagna, addentrandosi tra leccete poco battute, in mezzo e ginestre e campi inondati dalla luce del sole, troviamo la piccola località di Cavi. Conosciuta allo stesso modo come Cavi Borgo, Cavi di Lavagna si divide tra attrezzature all’avanguardia, alberghi di lusso e, voltato l’angolo, accarezzando gli scafi dei gozzi che beccheggiano, la mattina presto, a poca distanza da promontori dove l’ardesia affiora in quantità, le radici torte delle vigne a confondersi nel soffice tappeto degli aghi di pino, in uno scenario intimo quanto raccolto. Incorniciata dai cespugli di lavanda selvatica e dai gelsi che venivano impiegati per la seta, l’attività dei pescatori si è beata, facendosi scenario suggestivo, degli esemplari più belli della macchia mediterranea. Attività essenziale, questa, per l’economia del paese, i suoi segreti si tramandano di padre in figlio, hanno la stessa valenza di quella che trecento metri più a monte riguarda chi strappa alla terra olio e vino tra i più rinomati della Liguria. Mani che in entrambi i casi, che siano sporche di terra o di sale, sono dedite a quel tipo di lavoro onesto che manca, che è fatto di astuzie e arcaici trucchetti, assegnati alle nonne, alle massaie, agli umili frati delle diocesi. Cavi – ma in generale tutto l’entroterra lavagnino - si distingue in aggiunta per via di uno “spirito” particolarmente legato alla sua storia, a questo tipo di sapienze stregonesche, dal sapore medievaleggiante, pure per merito del legame con i Fieschi, cui spetta il vanto di aver dato la vita al primo nucleo del contado; Genova stessa non riuscì a strappar ciò che tanto magistralmente avevano amministrato, se non dopo mille peripezie. Ciò che oggi è in mano al comune va oltre il semplice concetto di villaggio o di borgata, dividendosi in un mosaico, qui in senso letterale, di frazioni e paesi arroccati sulla costa. Se siete alla ricerca del cuore palpitante, di quello che sopra vi abbiamo descritto, è dunque a Cavi che dirigerete i vostri passi, sede oltretutto di una tradizione cantieristica di lunga data e dell’arte di costruire barche di tutti i tipi e grandezze, dai modelli a vela fino a quelle da competizione, fin dai primi del seicento. Crocevia degli habitat più belli della valle dell'Entella, a Cavi è presente un’area denominata “degli orti”, suddivisa in un numero di zone più piccole, che si alternano tra le municipalità di Chiavari, Lavagna, Cogorno, Carasco e San Colombano. Fazzoletti di primizie che persino da lontano, con l’apposita macchina fotografica sotto braccio, potete fare vostri, li troverete estesi per circa 200 acri, su un'altitudine che arriva con facilità a 50m. sul livello del mare, in tutta la loro gloria bucolica: benché molti di questi orti siano privati, il profumo che entra nel naso a costeggiarli, del pomodoro maturo, della balsamica mentuccia, è già garanzia della salubrità del posto. Li circondano i muretti a secco, che sono patrimonio di un po’ tutto il Levante, simbolo per eccellenza dell’agricoltura ligure. Via B. Partigiane, 9 Diamo importanza, comunque, a questa attività, poiché legata alla persistenza delle tradizioni già note, alla tenacia dei nonni che hanno dissodato la terra ventosa del litorale, collezionando dei veri e propri vivai accanto agli abitati, a due passi o poco più. L'orticoltura a Cavi si è mantenuta immutata fino all'inizio del XX secolo, incurante, come si diceva, dei grandi cambiamenti che la piana ha subito con la fine dei conflitti mondiali. Dopo la guerra, invece, verso l'interno collinare hanno preso piede olivi e vigne, qualche castagneto, unito a ceci, fagioli, prezzemolo, grano quarantino, morbide pesche e fichi dolcissimi. Cavi è insomma una vera e propria miniera di benessere, accanto alla più concreta, reale, della pietra grigia che si estrae nei dintorni. I terrazzamenti e il tripudio di diversità che accompagnano le file dei prodotti, spuntati dal buon terriccio, arrivano alle zone sopra Rezza, Moggia, e fino a San Salvatore dei Fieschi, accarezzando il nastro gentile del sistema di torrenti, a monte. Oltre al turismo di tipo enogastronomico, od ancora esperienziale, che accompagnano l'uno e l'altro la cartolina di Cavi, la cittadina si vanta di essere stata forgiata in un paesaggio costiero per lo più sabbioso; prima dello spauracchio della guerra era caratterizzato da pochissime case, e il mare, la sua propria, salvifica esistenza, era importante quanto e forse più dei pomodori, attirando la borghesia dell’Europa che contava. Nel mare ci si bagnava per curare l’asma, i malanni, gli acciacchi bastardi della vecchiaia, e dal mare veniva il sostentamento, tirata la rete in barca si aprivano agli uncini di ferro dei pescatori grandi e remunerative meraviglie. Tonni, ricciole, acciughe, veri e propri tesori delle “armie”, ossia le indicazioni geografiche per orientarsi e trovare il pesce migliore. Cavi, originariamente, era di fatto un borgo dedito alla pesca, e le sue case a due piani, con i loro porticati di ardesia, imposte verdi uguali tra loro come sguardi indagatori sul Tirreno, si srotolano ancora adesso su un litorale prezioso, di sabbia bianca, che manca altrove e che concede a piene mani stagioni sempre ricche di manna. La pesca non dava lavoro solo agli uomini, ma anche alle donne, che riparavano le reti quando i compagni erano via, a sfidare i voleri del Fato. Le successive istituzioni delle aree marine hanno permesso che il lavoro, dei pescatori s’intende, non recasse danno all’ambiente. Così, sia i fondali che i promontori, a Cavi e dintorni, sono rimasti incontaminati quasi come un tempo. Ci si mettono anche le alture della Val Fontanabuona a proteggere quest’area dalle perturbazioni, e il risultato è un felice connubio tra inverni tiepidi, perfetta copia della Provenza, ed estati che, a dirla tutta, la stessa Provenza può invidiare. In materia di ipotetiche competizioni, Cavi può contare d'altronde sulle sue antiche cave di ardesia, nell’immediata cornice delle colline soprastanti: i cunicoli formano la cosiddetta Via dell’Ardesia, stretta tra la val Fontanabuona, fino all’incantevole Val Graveglia. Se dell’estrazione della pietra grigia, il borgo, è testimone, dei rigeneranti bagni in mare il turista è fautore, inzuppandosi in quello che l’Unesco definisce un vero e proprio brodo patrimoniale. Ve li ricordate i borghesi vecchi e con gli acciacchi, vero? Ecco, lunga a sufficienza da saziare ogni voglia di sole ed ogni vostro male, la spiaggia si scopre facilmente come uno dei tratti costieri più lunghi nel versante di Levante. Se vi capitasse di alzare lo sguardo dal natante in vetroresina che avete appena affittato, o dalla nicchia sotto un pino, accarezzate l’idea di fare una gita per il sentiero di Sant’Anna, che parte da Cavi Borgo e arriva a Sestri Levante, immersi fino alla cinta tra corbezzolo, agavi e un fitto intrico di boschi, sinuosa parentesi dei cinque ponti romani, resti della Via Aurelia Scauri, nonché mirabile testimonianza delle competenze tecniche degli ingegneri che li costruirono. Cavi borgo è, ancora, sinonimo di cucina di pesce freschissima, vantando all’attivo alcuni tra i più importanti ristoranti specializzati della zona. Perciò anche la ristorazione, contrariamente al mero giro d’affari, risulta un’arte: dopo ore di fatica, il carico viene spesso lavorato direttamente sui pescherecci e non è inusuale che proprio i locali ne possiedano uno proprio, garantendo, così, all’avventore, gusto e sapidità uniche. Come tante scatole cinesi, i borghi tra Cavi e Lavagna si incastrano perfettamente nel contesto scenico della Riviera di Levante, e Cavi in special modo si pone come uno dei centri più gradevoli per chi è alla ricerca di una vacanza all’insegna del relax. Nel comune che li custodisce, numerosi sono gli eventi che si propongono di animare le estati, principale dei quali è quel glorioso “ensemble” conosciuto come la Torta dei Fieschi: ogni anno, il 14 di agosto, la manifestazione storica rievoca il matrimonio avvenuto tra il conte Opizzo Fiesco e la nobildonna senese Bianca de’ Bianchi. Durante l’avvenimento, tutta la città di Lavagna partecipa a questa sfilata in costume per le strade del centro, fino ad arrivare in piazza Vittorio Veneto, centralissima, ai piedi della Torre Fieschi. In questo angolo di Lavagna, leggenda vuole che gli sposi tagliarono a fette una gigantesca torta, donata poi dai nobili ai cittadini accorsi per le nozze. Ogni anno, la semplicità del momento di festa raduna un vero e proprio corteo per la cittadina ligure, così come è stato centinaia di anni addietro. E forse è proprio al taglio della gigantesca torta, tredici quintali di dolce confezionato dai maestri pasticceri della zona, e alla notte di contese, duelli e spettacoli d’arme, che il turista si confronta con un mondo nuovo, summa del quale è la propaggine capace di Cavi, in grado di fare tesoro del passato, senza tuttavia restare indietro sulla tabella di marcia del progresso. Ma Cavi non gioca scorretto. A Cavi, in realtà, non interessa competere con nessun’altro borgo di mare. Perché è una cittadina ben conscia delle ricchezze (climatiche, paesaggistiche, culturali) conservate al suo interno, non le serve ostentare alcunché. Ha dato un lavoro ai braccianti delle tonnare, ai mastri cordai, di ascia e con l’aggiunta del femminile, alle maestre del pizzo a tombolo, si è adoperata, amabile lei, persino per i frantoi. L’ultimo regalo che Cavi può fare anche a noi stranieri, a giugno, arrivati i primi, veri e propri caldi, quando il sole imporporisce le montagne anticipando il giro dall’altra parte del mondo, è colorare i suoi tramonti di magia. Forse solo la Baia delle Favole, a Sestri Levante, li batte. Quando il sole è alto nel cielo, e i gabbiani volano rasenti la battigia, a Cavi sopravvivono quelle storie care ai miti marinari, vengono cantate le lodi di Poseidone, dei viaggi via mare di Ulisse e Giasone, e dopo di loro di Colombo e di tutti quei viaggiatori che da un pugno di pontili e qualche attracco, hanno fatto della città che li ha visti salpare una grande capitale di commerci, un centro di passaggio, una roccaforte di inestimabile valore.